Recensione: "Sposala e muori per lei" di Costanza Miriano
- fsabatini3
- 11 mag 2015
- Tempo di lettura: 7 min

Ladies and gentlemen,
è giunto il tempo di compiere questo ‘temibile passo’ che prima o poi dovevo accingermi a fare: recensire una delle fatiche in prosa della Costanza Miriano, uno dei suoi testi, precisamente lo ‘Sposala e muori per lei’.
Il primo libro dell’autrice che leggo, e recensisco.
Avverto subito che la lettura ci richiede delle precondizioni necessarie al porto a compimento di tutta l’analisi del testo.
Conosco infatti persone con menti rinomate che hanno abbandonato la lettura di questo per presunto ‘disinteresse’, ‘noia’ e, soprattutto... presenza di pregiudizi nei confronti della scrittrice e/o del testo.
Ma allora, questo testo è noioso? “Com’è possibile”, mi chiesi! E pensai: ‘conosco persone che sottolineano le bontà inerenti di questo come una manna dal cielo – ed invece altri che io stimo moltissimo che lo hanno addirittura messo da parte’.
Inoltre, aggiungo che la lettura delle pagine si è consumata mentre, pure io, ero consumato dalla malattia, nello specifico un attacco di otite e mal di gola abbastanza pernicioso, che mi obbligava ad andare in giro per casa con l’occhio vivo della quaglia e l’andamento da piccione (e cioè ondeggiando qua e là...): sono insomma stato peggio di un’animale. Vi tralascio il resto.
In questo periodo, il testo della giornalista del TG3 nostrano è stato di notevole aiuto. Ma, andiamo con consueto ordine...
SPOSALA E... SI’ MMUORT’.
'Qual è la cosa più bella del matrimonio, e quale la più brutta', mi chiedo or ora mentre sto per iniziare a recensire questo racconto che, racconto non è, ma neanche indagine, o forse sì? La cosa più bella, vi rispondo, è l’autonomia.
Sorpresi?
Ci si poteva aspettare che scrivessi ‘l’amore per l’altra persona, completo’, oppure la ‘maturità di carattere sviluppatasi’ (dopo aver compiuto l’orrido gesto dell’anello... ehm...)?
No, la cosa più bella è l’autonomia, alla faccia di quelli che dicono che il matrimonio ingabbi.
Sì, è vero che in un certo senso ingabbi.
Nel senso che prima si poteva correre a grandi falcate per le praterie, starnazzando come paperi o gridando il verso dello yak come debosciati, ed ora, invece, la presenza di una figlia – e di una moglie! - costringe a: non mettersi le dita nel naso, non dire le parolacce, a non girare semi nudo a casa.
Praticamente un incubo per l’Homer Simpson medio.
Se non ché – noi non siamo Homer Simpson.
Né questo è un cartone. Né tantomeno siamo medi.
La ‘vita non è un film’ cantava qualcuno.
No, ‘però è una bellissima commedia’, aggiungo io. A patto di giocare secondo le regole. Pena l’arrivo di uno ‘spaccone’, che fa ‘saltare il tavolo’.
Dicevo (ora ritorno normale): il matrimonio ti obbliga a non fare il diavolo a quattro per casa. E ciò è un bene anche per l’uomo, altrimenti continueremmo a girare semi nudi per casa in attesa di capire che vestito mettere la sera, la mattina (scegliere il periodo in cui si è più stanchi e/o senza idee) perdendo mezze ore intere. E questo non è molto... manly.
Ora, detto questo, è innegabile come le gabbie divengano per l’uomo necessarie.
Una donna, nel bene o nel male, ti controlla, e tu, nel bene o nel male, la controlli, seppur indirettamente. Ognuno influenza l’altro, e davvero si diventa una terza persona! Ciò che scaturisce è che ci si viene incontro: con la sega a motore spianata o con ‘caldi abbracci’.
Non è detto che gli aspetti estremi dell’uno o dell’altro (tipo le urla della moglie o l’estrema placidità maritale) vengano appianati, ma diventa comunque molto più facile iniziare via via un cammino di perdono dei difetti altrui.
‘L’inferno sono gli altri’ diceva un filosofo nichilista, e tutta la intellighenzia cattolica gli fa eco: “l’inferno sono io”. C’era addirittura un uomo alto e corpulento, con la barba bianca che un giorno affermò: “in due lettere posso definire il male dell’universo: io”.
Questo la Miriano, credente, cattolica, apostolica e romana, mamma di cinque figli e moglie di un marito, giornalista del TG3 e scrittrice, lo sa bene.
p.s.: la cosa più brutta del matrimonio, a volte, può sembrare il dovere di fedeltà. Ed è per questo che agli uomini piacciono le macchine o tante cose assolutamente secondarie – di cui il mondo è pieno - cosa che ci permette di rimanere fedeli alla nostra promessa... concentrando nei momenti di crisi la nostra attenzione su di un’Alfa Romeo 1.600 Giulia Sprint GTA che sfreccia anziché sulle cosce della bella avventrice appena salita sull’autobus.
DIRITTO AL CUORE
Bene, ora, se Dio vuole, mia mente permettendo, incomincerò seriamente a redigere un accenno di revisione.
Di che parla il libro? Di rapporti uomo – donna, anzi, marito – moglie.
Costanza Miriano ha un modo molto singolare per presentarci il suo sforzo: parlare di sé e dei suoi amici. Ma soprattutto di sé. E lo fa con grande veemenza umoristica e vena concreta. Tanto da far impaurire, a tratti (e qui torniamo alla parte in cui scrivevo di ‘precondizioni per leggere il libro’...): se si vuole terminare con successo il libro, bisogna approcciarvisi (spero di non perdere il controllo delle particelle pronominali) con distacco ma molta onestà. Come ad una partita di tennis. Con fair-play. Quello che ti permette di perdere, anzi, essere umiliato con un punteggio di 0 a 40, solo per poi ammettere “sono un po’ a corto di pratica/oggi sono un po’ deconcentrato/oggi sei un bel po’ pimpante, eh!” (o qualsiasi frase/scusa a scelta purché vi sia un ‘po’’, mitico aggettivo che ci permette di passare sopra sconfitte terrificanti come fossero semplici chewing-gum spiaccicate).
Già, fair-play: cosa che mia moglie non ha. Ed infatti non ha finito il libro (falso, lo ha terminato in un secondo momento dopo essersi fatta forza).
Inoltre, il libro ‘bastonerebbe’ più le donne che gli uomini, a detta di mia moglie.
Forse, l’intento della scrittrice, era quello di far limitare maggiormente il controllo femminino nei confronti di quello maschinino (o macinino, nei casi peggiori) perché, come la stessa autrice ammette in una parte del testo, le donne avrebbero questa tendenza a voler controllare il marito (s’ode da lontano una schiera di mariti intonare: “ma noooooooooooooo!...”).
Ed è colpa pure del maschio, beninteso, che non si promuove nella qualità di ‘capitano coraggioso’, spesso, relegando il timone alla donna. Sì, avete capito bene, il libro parla anche di capitani coraggiosi, e per diventarlo, si passa pure a descrivere le bontà propedeutiche dell’acquisto di un fucile da caccia da parte del marito.
Comunque, a tutti gli effetti anche io ho constato che più spesso le osservazioni costruttive vengono rivolte al genere femminile che a quello maschile.
Ma comunque, non stiamo disputando una gara tra generi masch. o femm., di conseguenza, invece di continuare ‘a parlare di niente’ come faccio al solito, spostiamoci tosto a parlare della dialettica utilizzata dalla scrivente.
NE UCCIDE PIU’ LA PENNA CHE LA SPADA
Costanza Miriano ne ha ben donde. Da vendere. Scrive come un’assatanata, nel senso che scrive non solo tanto, ma anche con uno spirito estremamente vivace, spesso elettrico, mai lapidario. Propone delle riflessioni importanti a partire dalla qualità delle patatine fritte del Burger King o del McDonalds, e finisce a trattare con apparente leggerezza temi quali la fedeltà. Traendone innegabili verità, pietre miliari che io stesso ho riscontrato nella mia esperienza.
Detto questo, come ho già preannunciato più sopra, ciò che fa un po’ paura dell’autrice è la capacità di ‘morire per i figli’, che sembrerebbe smisurata. Di questi pargoli, ella ne ha cinque. E, da cosa traspare dal racconto, la sua vita di casa pare più spesso una Seconda Guerra mondiale che un ‘safe haven’ come il focolare dovrebbe a buon diritto essere per tutti quelli che hanno fermato il proprio orologio nell’’800. Come il sottoscritto *arrossisce*.
E invece no: a tratti pare più un director’s cut di ‘Quella sporca dozzina’ o dell’ennesimo film di pistoleri senza troppo senso (il genere western non lo capisco molto, so che si sparano addosso per un pugno di dollari – molto meglio i film di guerra, su questo mi trovo molto più in accordo con lo sposo dell’autrice) con l’eccezione che qui un senso c’è. Far prevalere l’ordine, cioè, educare alla vita, in senso ampio.
Poi, l’autrice ci parla anche di come andare in giro per le stanze imitando il giaguaro che va alla caccia, stanca com’è e per evitare di svenire battendo così la testa sul duro pavimento.
Questo, ancora di più, ci fa comprendere il duro mestiere del genitore. E forse mette anche un po’ di paura (o forse la fa solo a me che a volte combatto per non svenire stanco come sono – toh proprio la stessa cosa che accade all’autrice! Solo che io di figli ne ho quattro di meno...........).
Tuttavia il testo è godibilissimo. L’autrice scherza sempre con molta serietà.
Tra un aerosol e l’altro, ricordo di esser esploso in una fragorosa risata a più riprese.
Ovviamente, il tutto si svolge nel rispetto della grammatica italiana, che è imperativo. Mica coglie le pere, l’autrice (con tutto il rispetto per chi coglie le pere, che probabilmente sa scrivere meglio degli odierni autori di best-sellers).
FINALE AMERICANO CON CAFFE’ CORTO.
Mi si potrebbe chiedere: “insomma, non si capisce la solita mazza da quanto hai scritto – il libro ti è piaciuto si o no?”
Rispondo senza tardare oltre: sì. È un’opera autobiografica, di un’amica che dà consigli agli altri sul come vivere l’avventura matrimoniale, presentandoci con violenza e bellezza un quadro che rappresenta la splendida realtà senza altre. Ecco perché dico che l’uomo è più autonomo nel matrimonio: perché è libero di essere come il genitore suo che fu, capace di scegliere, di fare errori, di rinunciare alla ragionevolezza dell’agire per sposare l’irrazionalità, i rischi, quelli buoni, che spesso portano alla vita.
Detto questo – non è un testo perfetto! L’ultimo capitolo, od il penultimo, sono stati un po’ pesanti. Ma forse, più perché mi ero rotto di essere ammalato io e ho fatto fatica a consumarli.
Per farla breve, vale la pena di comprare questo libro? Sì – ma dovrete essere onesti con voi stessi e liberi da qualsiasi pregiudizio, pena l’accantonamento di questo.
Lettori carissimi, siamo giunti al termine. Neanche in questo caso posso dire di aver redatto una recensione ‘alla cristiana maniera’.
Abbiate pazienza, fratelli e sorelle, abbiate pazienza...
Alla prossima delle mie malefatte, ladies & sires.
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