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Quando è l'ora d'andar in fiera


Care lettrici e lettori,

benvenute/i anche oggi in questo spazio dove si fa imperativo sottoporre (sì, avete letto bene...) una riflessione alle genti tutte (cioè a quelli che leggono su questo blog, che sono sempre quattro, tre se uno è molto impegnato).

La settimana che ci ha lasciato ha visto il passato del DDL sulle unioni civili.

Cosa vuol dire questo?

Non ne conosco certo i dettagli; so per certo, invece, il vulnus (che poi, è un vulnus?) giuridico che tale strumento di legge vorrebbe colmare.

L’obiettivo è equiparare i matrimoni civili/religiosi a quelli delle unioni civili.

Cioè, in realtà l’obiettivo è esattamente l’opposto, ma – guarda caso – nessuno dei progressisti votanti favorevolmente a tal decreto sembra aver notato questa quisquilia.

Qual è il male? Dov’è l’errore? Perché si dovrebbe per questo ‘odiare’ i gay, le lesbiche, etc. etc.?

Rispondo subito alla terza domanda, perché ovvia: com’è nella più sana tradizione cristiana, dunque prim’ancora che democratica, non si deve odiare il peccatore, ma bensì il peccato, e cioè, non si deve odiare chi l’inganno lo subisce, che è una vittima (non affronterò ora il discorso relativo a chi si sia macchiato del delitto di aver leso la dignità altrui, o delle cattive esperienze che hanno portato a maturare questa scelta nella persona, temi che in fondo già conosciamo in qualche grado), ma ci si dovrebbe invece alterare per chi si prende gioco di costoro consapevole di arrecare un danno ai più fragili, e poi alla società intera (in tal caso non ho scritto odiare, perché introduco l'idea che, oltre ad essere una fatica, ciò, è anche un peccato di giudizio e d’ira. E dunque una doppia fatica).

E qui qualcuno mi dirà: “Seeee! Danno alla società intera per un DDL! Figuriamoci!

E allora io rispondo: tre sono le motivazioni per cui questa idea promossa dal DDL Cirinnà nuoce al nostro Paese.

Una motivazione demografica.

L’unione civile non porta frutto. Da un uomo e un altro uomo non può nascere un bimbo. Sarebbe come dire far nascere un tulipano non unendo il seme e il terreno fertile, ma due semi di quello o due parti dell’altro. Il risultato è un grande errore, e cioè due oggetti inamovibili, che non creano vita. Ed è anche un bel disastro da ripulire nel secondo caso. Od uno spreco di semi nel primo. Così, alla medesima guisa, è uno spreco associare uomo a uomo, figuriamoci poi la donna ad un’altra donna.

Domani, così, non ci saranno più concepiti. Non più bambini, cioè cittadini.

Il risultato di questo grande Errore (questa volta sì con la maiuscola) è una crescita della popolazione sub-zero. Che non significa che saremo concepiti in un freezer, o molto più probabilmente sì, ma che vivremo... incontrando poca gente per strada. Allettante, per le opzioni quasi infinite di parcheggio, molto meno per la ricchezza della diversità culturale e della crescita tecnologica. Va da sé che l’aumento degli spazi a disposizione per l’uomo non è una buona base per lo sviluppo tecnologico: questo, infatti, si nutre di nuove esigenze, di limiti. La penicillina, ad esempio, è stata scoperta per superare la presenza di un’asserzione di significato negativo: stavano tutti male. Dunque, se viene a mancare l’esigenza di costruire nuovi parcheggi, perché costruirne? All’opposto, e all’estremo - se non c’è necessità di contenere la popolazione mondiale nel resto dell’universo, perché contenerla? Molto più facile decrescerla fino ad un livello di maggiore gradevolezza, sulla Terra. Bell’egoismo, non far campare gli altri per far posto più comodamente a quelli già nati – e bella perversione, quella di contenere le spinte naturali alla riproduzione umana.

Una motivazione economica.

Ogni persona che non nasce da due genitori, ogni bimbo e cittadino in meno, orgoglio dei genitori e sangue di una Nazione, lede il tessuto economico del Paese. Perché?

Oggi, lo sappiamo, le aziende vendono perché vi sono acquirenti interessati (o, più che altro, obbligati, nel caso dei beni di primaria necessità) a renderli propri, indistintamente dall’uso che vogliano farne (e anche qui vi sarebbe da scriverne, ma preferisco rimanere in tema).

Come potranno creare ricchezza, le aziende, un giorno, tenuto presente della decurtazione della popolazione? Inoltre: come far lavorare il proprio nipote o figlio se una domanda di beni non è presente perché, c’è poco da fare – manca la materia prima, cioè la clientela?

Ecco perché una popolazione sempre meno ‘florida’ va a equivalere una popolazione sempre più povera, nel nostro pur imperfetto sistema capitalistico.

C’è dell’altro. Una popolazione sempre più risicata influisce anche nella qualità – e nella quantità – dei servizi di supporto alla persona nella vecchiaia – è l’insieme di quelle cosette che noi italiani abbiamo imparato a definire ‘welfare state’ alla maniera britannica. Se solo pochi giovani sono costretti a lavorare per tenere sul proprio groppone una quantità smisurata di anziani (perché, inevitabilmente, alla decrescita della popolazione si anticipa, prima ancora, l’invecchiamento di tutta un’amplissima fetta di questa, che raggiunge così la stragrande maggioranza degli effettivi nazionali), allora non dobbiamo meravigliarci se il sistema pensionistico fa acqua da tutte le parti. Anzi, ne dobbiamo esser grati; giacché invece dovremmo assistere ad uno scenario invece più che desertico; spettrale.

Ultimo ma non ultimo: avremmo sempre meno risparmiatori. Elemento che invece ha permesso all’Italia di sopravvivere come sistema economico-bancario quando sulla penisola imperversavano le turbolenze finanziarie globali.

Mi domando: chi aspetterebbe il riassetto demografico del proprio Paese (cioè che le forze lavoro occupate eguaglino almeno il valore numerico di chi è già in pensione, per mantenere così un livello di servizi alla persona decente: qui non si parla più solo di pensioni, ma di grandissima parte dei servizi pubblici che gli anziani non pagano) quando nel frattempo è costretto a dover testimoniare la presenza di una nuova generazione di anziani, ex lavoratori, ma poveri a ‘pensione-zero’? Non so voi, ma ragionando solo sulle possibili tensioni sociali che potrebbero scaturirne, io penso emigrerei immediatamente.

Una motivazione di libertà personale e di dignità per il fanciullo (adottato, evidentemente).

Chi è parte di un’unione civile, secondo questo decreto, potrà – se approvato nella sua interezza nei successivi passaggi Camera dei Deputati-Senato e via dicendo – adottare figli senza alcuna limitazione. Ciò significa che i bambini adottati dai ‘genitori monosessuali’, sin dalla loro infanzia, saranno persuasi a recepire il comportamento e l’attività educativa di due soggetti del medesimo sesso. Risultato? Un bambino cresciuto con due padri, ad esempio, non importa se uno più effeminato dell’altro, non avrà altra scelta se non optare per la via dello sviluppo della personalità (perversa, cioè dannosa per i motivi che tutti conosciamo) gay, lesbica, etc. - non avrà cioè la libertà di essere diverso, insomma, come lo fu a suo tempo il genitore, che invece tale libertà di scelta l’aveva avuta avendo già il padre e la madre. Si vuole insomma far divenire la ‘sfrenata licenza’ un progetto educativo da seguire. Come se i naturali fervori dello sviluppo e tutte le problematiche della relazione uomo-donna non fossero state già sufficienti.

Fino adesso i teen-agers sospiravano per le ragazzine. Forse, un domani, sospireranno per i propri stessi ‘compagni d’arme’ o per le amiche ‘di segreto’. Quel che è peggio non è che ci aspetta un mondo all’incontrario – questo mondo già lo è, per lo meno considerando quello che ci attende dopo il ‘finale americano’ della nostra vita, che molti di noi desiderano – è che si profila un mondo senza poesia, che fa una cesura ‘di brutto’. Finora gli uomini giovanissimi hanno affrontato le interrogazioni o i compiti in classe del quinto elementare con lo stesso spirito degli eroi della II° Guerra mondiale, ove ogni gesto dettato dalla stizza, come il passaggio della penna al vicino di banco (recante questa importantissimi messaggi di valore strategico a dire il vero), era in realtà equivalente a quello del soldato che scambiava le cartucce del fucile col fratello commilitone prima di un assalto nemico, mentre si era tutti asserragliati per difendere l’importantissimo avamposto; domani, tuttalpiù, ci limiteremo ad osservare i nostri ragazzi già addossati ad un muro pronti per essere impallinati da un legislatore senza pietà. Praticamente una battaglia inutile, una lotta che inizia già col passaggio alle armi dei malcapitati. E addebito della munizione alla famiglia come si fa nella democratica Cina. È questo il percorso d’incivilimento che vorremmo?

Mi si potrebbe allora controbattere: “Ma non sarebbe un mondo infecondo! C’è la tecnologia della fecondazione in vitro, e pure la step-child adoption”.

E io risponderei: certo, ma in tal caso dovremmo accettare di tornare ad essere una civiltà battuta, di disperati, che inneggia al ritorno dello schiavismo. Dell’uomo-merce. Ed allora dovremmo pure tornare ad ascoltare, ancora, i nuovi personalisti, quei filosofi che tornerebbero a dirci di fare attenzione alle conseguenze delle nostre azioni, duri come poliziotti, amabili come mamme, ma evitabili come l’epatite. Questo non perché sia contrario ai filosofi personalisti, anzi – è solo che trovo inutile continuare a rileggere ogni volta il nostro vissuto, vecchio anche solo di 50 anni, perché non abbiamo saputo imparare le lezioni dalla storia. Ed è troppo tardi, di nuovo. Ma del resto, se così dev’essere, sia. Diceva del resto un signore: “l’unica cosa che impariamo dalla storia – è che non impariamo dalla storia!”.

Tuttavia, mi sorprende sempre scoprire ogni volta che vi sono uomini tra noi che adorano tirare in ballo le virtù salvifiche di una genesi umana spersonalizzata e triste, puramente commerciale, laddove sarebbe, invece, meglio lasciar fare alla natura (v. utero in affitto). Modaioli, una brutta razza. Si dice considerino le persone allo strenuo di cose.

Tristemente vero.

Insomma, queste cose, non le possiamo approvare; un bambino non mi sento di poterlo sacrificare per un fine non buono, se non per salvare la vita di chi gli ha donato la vita, cioè della madre. Non so davvero come gli altri possano difendere certe idee. Di sicuro, solo con un tono più alto degli altri interlocutori. Ma così fanno solo i bambini, no? Questa è forse l’unica contro-indicazione: i capricci.

Ecco perché definisco il DDL Cirinnà ‘anti-italicum’ e preferirei invece che, per queste coppie, si promuovessero dei diritti di natura ‘effettivamente concreta’, non di natura ‘campata in aria’. Se si volessero scavalcare i vulnus di diritto realmente presenti, lo si potrebbe già fare grazie a semplici dichiarazioni unilaterali di un interessato, manifestazioni di volontà di un sig. x, che, registrate da un notaio (dunque di valore innegabilmente giuridico) permettono di indicare il sig. y come proprio tutore in tutti quei casi di inabilità del primo ad esprimere il proprio consenso (ciò permetterebbe di risolvere le difficoltà lamentate negli ospedali, ad esempio, quando alla morte di un omosessuale viene negato il permesso di riconoscimento della salma all’ex compagno – e in tutti gli altri casi), tuttociò senza necessità di scontrarsi con acredine per lo sdoganamento del modello dell’unione omosessuale e – ancora meglio – senza che si crei nocumento a terze parti, notoriamente estranee alla questione e, soprattutto, estremamente fragili a qualsiasi manipolazione. Inoltre, mai e poi mai, l’istituto del matrimonio dovrebbe essere lontanamente utilizzato (o menzionato) per le unioni dello stesso sesso: ne andrebbe della nostra responsabilità intellettuale. Non si vedrebbe infatti il senso di cancellare una certezza storica che dura da prima dei tempi degli antichi egizi, e cioè il vincolo santo (e sacro) tra l’uomo e la donna.

Il panorama può sembrare grigio, me ne rendo conto. C’è però una speranza: l’urlo dell’uomo al cielo (e ai propri governanti...) che lo mette di nuovo in lotta per la sua altissima libertà, tra le quali forse la più importante è quella di pensiero dei futuri uomini e donne, non ultimo cittadini, che devono essere liberi da deviazioni imposte perché già nella crescita incontreranno molteplici deviazioni, svincoli e sensi unici, dai quali dovranno svicolare intelligentemente. Forse, un giorno, desolato più che mai, l’uomo si renderà conto dell’Errore, e si volgerà al Cielo non per sputare (ché tanto gli ritorna addosso colpendolo in faccia ogni volta), ma per osservare di nuovo la normalità; le nuvole, e quel sole considerato pallido, che eppure continua a bruciare ardentemente. E si renderà conto che il cielo è già qui, e lui vi è immerso. E chissà, magari smetterà pure di ascoltare quegli scientisti che continuano a dirgli che lo spazio è tutto nero, anch’essi dimentichi che pure le stelle sono senza fine, e assai luminose.


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