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Una recensione 'Controcorrente', scritta da un 'Giovane vecchio', ma su opera di Giuseppe Sbardella

Giuseppe Sbardella è un ex impiegato della IBM.

Ogni giorno, per quarant'anni circa, ha prestato servizio presso le sedi milanesi e romane dell'azienda californiana.

E' entrato nella società di IT nel 1962. Nel 2005 è invece stato fatto 'scivolare' fuori dalla società che stava passando, a detta del mega-manager americano di turno, un 'momento difficile' - motivo per cui in Europa, la società suddetta, appunto in quell'anno, ha dato il via al taglio di 160.000 posti di lavoro.

Quanto affermato dal mega-direttore siderale di fantozziana memoria, non fu vero, perchè l'unico rischio era invece quello di non appagare completamente gli investitori del titolo quotato in borsa.

E così... Giuseppe Sbardella si trovò fra questi.

Tuttavia, il nostro, dalla parte sua, aveva una fede matura a fargli da supporto.

Tutto il suo racconto, narrato con semplicità e senza troppi giri di parole o virtuosismi di sorta (giacché nemmeno lui, sin dall'inizio del suo testo, si definisce un abile scrittore) è la sua storia di cristiano e infine dirigente all'interno di questa società che, come ogni operatore del settore informatico può immaginare, ricusa nei fatti qualsivoglia ispirazione di matrice non-razionalisticheggiante (...che spiralidoso!).

...Dunque per la fede non vi sarebbe posto nelle multinazionali.

Ma Giuseppe è un focolarino, cioè un aderente al Movimento dei focolai di Chiara Lubich, indimenticata fondatrice, e perciò è, come dicono gli stessi americani, un 'tough cookie'. Cioè uno con le spalle quadrate - tanto per dirlo in maniera meno incisiva - uno di quei cristiani che è intenzionato a porsi seriamente in discorso gettando la sua fede e la sua umanità in tutti i processi produttivi e di audit che l'azienda promuove, facendosi lui stesso carico della responsabilità di incarnare le virtù del nostro Re in modo maturo.

Questo testo, intitolato non a caso 'Controcorrente', non è tuttavia un simplicistico svolgersi di eventi in cui ogni cristiano può ritrovare la sua battaglia giornaliera nel luogo di lavoro, rendendosi così conto d'esser in ottima (e numerosa) compagnia, ma è anche un prezioso ausilio proprio come lo è una sorgente d'esperienza per chi non ha vissuto le vicissitudini del protagonista.

Nel concreto, è stato interessante notare come Giuseppe abbia letteralmente attraversato delle fasi di lavoro che uno come me, che non ha esperienza di quadro, figuriamoci di dirigente, può solo intuire scavando a fondo nei processi che, in qualità di impiegato, nota nella propria società, o che scopre facendo memoria dei ricordi legati all'attività imprenditoriale del padre (come ho già scritto altrove, anche lui lavorava nel settore informatico, solo che stava tra le Forze dell'Asse, anziché con gli Alleati, e cioè coi krukken).

E così certi dubbi vengono diradati: è vero ad esempio che un 'processo ISO9001 non fa il monaco', così come è vero che i processi di controllo interno semestrale delle aziende siano meno improntati alla verità di quanto si possa credere, quanto, più opportunamente per il management, ad un 'chetichelloso' insabbiamento di ciò che non dovrebbe ragionevolmente prodursi.

Il libro si chiude con l'allontanamento di Giuseppe dall'azienda, che in realtà è proprio un'altra fase centrale della sua vita, come lo fu la sua entrata nella stessa: il protagonista ci avverte così come dal 2006 fu finalmente capace di dedicarsi ai suoi cari e, non meno intensamente, alla stesura dello stesso libro ed alla sua vecchia passione, il giudice di pace, figura che Giuseppe ha ritrovato nel mediatore civile - quale soggetto professionale voluto dal nostro attuale Ministro della giustizia per risolvere il problema dell'elefantiasi dei processi giudiziari nel nostro paese (ed anche per togliere parte dello stra-potere alla casta avvocatizia italiana, ma questo al momento ci interessa meno) - di cui è diventato rappresentante nazionale dopo qualche anno di pratica.

In altri termini, ad una fase in cui egli stesso ci avverte come andasse ricusando la sua fede, ed allontanandosi dalla sua famiglia, segnato anche dalla malattia, in realtà sarebbe seguita una vera e propria 'risurrezione', che lo avrebbe premiato - riprendendo le parole di Chiara Lubich - per 'aver preso su di sé una rata' della sofferenza del Cristo che è anche la manifestazione del valore ultimo della Verità nello stesso luogo di lavoro.

Per concludere; è un testo molto originale, dacché non si trovano molto facilmente in giro esperienze così profonde, condivise da una persona che ha saputo così intensamente vivere la propria attività aziendale (a patto di scovare pallide imitazioni d'una fede sincera, disinteressata e matura, nei testi dei capitalisti protestanti d'America, che di accostamenti tra fede ed attività lavorativa ne fanno pure di troppo bizzarri), appunto con quel discernimento che rende il cristiano differente da qualsiasi altro credente - ed è inoltre un racconto degno di lode perchè proviene proprio da chi non ha mai avuto il pallino per la scrittura, cosa che talvolta emerge in quanto spesso manca quell'enfasi, quel pathos tanto caro a quelli che scrivono tonnellate di roba, o quasi niente, solo per dare quell'emozione a tutti i costi (un'altra razza i poeti...) - ma non per questo il lavoro di Giuseppe Sbardella va criticato, ed anzi va protetto: perchè proprio il rischio di avere tra le mani un testo che possiamo considerare non affascinante per lo stile (soprattutto nella seconda parte, in cui i singoli racconti di avvenimenti sembrano a volte un'estrapolazione forzosa dal contesto invece molto interessante che è quello del suo vissuto quotidiano d'azienda), potrebbe indurci a leggerlo con superficialità o addirittura a lasciarlo: e questo sarebbe un bell'errore perchè, anche se non saremo mai leader di un gruppo aziendale, ciò non significa che da quello che teniamo tra le mani non possiamo evincerne lezioni esemplari.

Simpatico, molto originale, sincero.

Consigliato a tutti quelli che si professano cristiani e lavorano nelle aziende!

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